Akragas: i dolori di una morte annunciata…

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Era il mese di ottobre del 2011, ad Agrigento c’era un curioso paradosso (uno

Era il mese di ottobre del 2011, ad Agrigento c’era un curioso paradosso (uno dei tanti, per la verità): ci si iniziava a rendere conto che anche la città aveva una sua squadra di calcio, nonostante essa fosse prossima a festeggiare i sessant’anni di storia.

Il rapporto tra i biancazzurri dell’Akragas e la città dei templi si era un po’ raffreddato: l’ultima volta tra i professionisti risaliva al 1994, quando poi la squadra nonostante la salvezza per motivi economici era scesa prima in Eccellenza e poi nell’abisso della seconda categoria. Da allora erano cambiate tante cose: è arrivata la pay tv, il campionato di Serie A ha dunque iniziato ad essere a portata di divano, i campionati minori e le squadre delle proprie città e dei propri paesi hanno perso quel ruolo attrattivo che soltanto la provincia italiana sapeva dare e da cui, nel corso dei decenni, sono usciti i migliori talenti del nostro calcio.

Ma non solo: nella seconda metà degli anni ’90 Agrigento ha visto la chiusura di molte sue aziende, specie nel settore dell’edilizia, la sua economia si è indebolita ed il territorio non è stato in grado di offrire importanti svolte imprenditoriali che potevano dare un determinante contributo anche al calcio locale. Poi per l’appunto, era arrivato quel mese di ottobre 2011: personalmente ricordo di aver speso i miei primi 10 Euro per entrare all’Esseneto, spinto dal sesto senso comune a molti agrigentini secondo cui l’Akragas stavolta faceva sul serio.

Da pochi mesi era nata la nuova società dalla fusione con l’Agrigentina, il presidente era l’avvocato Castronovo ed era iniziato un ciclo che da lì a breve farà sognare un’intera città. In quel mese di ottobre l’Akragas era prima nel campionato di Eccellenza, ad Agrigento questo era bastato per accendere gli entusiasmi. All’Esseneto c’era Akragas–Alcamo, i biancazzurri hanno perso 3–1 ma tra gli applausi di un pubblico finalmente tornato nelle gradinate. Da allora, tante domeniche con tanti ricordi, alcuni belli altri meno positivi. Ad esempio, la sconfitta nella rocambolesca gara contro il Ribera, dove l’Akragas ha terminato la gara addirittura in 8 per la più che discutibile direzione dell’arbitro Colinucci. Oppure, sempre in quella stagione, la funesta data del 17 giugno 2012, quando i biancazzurri perdevano in casa la finale play off promozione in D contro il Città de la Cava.

Ma almeno la città era tornata a vivere la sua squadra e questo ha reso società ed ambiente ancora più forti. E non sono mancati i bei ricordi, come quello del 17 marzo 2013 quando con la vittoria a Monreale l’Akragas si assicurava la promozione in D dopo più di 15 anni di assenza. Oppure quello del 18 gennaio 2014, quando l’Esseneto ha sfiorato il tutto esaurito per il match contro il Savoia: un testa a testa, in quel campionato di D, dove l’allenatore Pino Rigoli è riuscito ad entrare definitivamente nel cuore dei tifosi agrigentini. I campani erano più forti e sono andati in Lega Pro, l’Akragas però ha cavalcato finché ha potuto, perdendo soltanto ai rigori la finale play off contro la Correggese in un’altra domenica dalle mille emozioni, quella cioè di Fondi del giugno 2014.

La festa è stata rinvitata soltanto di un anno, quando nella trasferta di Roccella Jonica contro l’Hinterreggio l’Akragas riesce a mettere in tasca l’approdo tra i professionisti. Città in delirio, giocatori portati in trionfo in quel 26 aprile 2015 con scene che ad Agrigento non si vedevano da tempo. Un ciclo, quello aperto dai biancazzurri, capace di ridare entusiasmo in una città che su molti fronti continua vistosamente ad arrancare.

Poi è arrivata la Lega Pro, con le montagne russe in cui l’Akragas ha vissuto sempre tra la gloria di una salvezza insperata e l’abisso di un’amara retrocessione. Per due anni la squadra, con Rigoli prima e Di Napoli poi, si è salvata. Ma adesso c’è soltanto l’abisso, ancora una volta, proprio come in quel 1994. La storia si ripete, ad Agrigento raramente insegna.

La fine del ciclo non coincide soltanto con una mera brutta stagione sportiva, ma con la fine tragica di una squadra che adesso chissà da dove ripartirà. Una morte annunciata, ma già da diversi mesi, che però fa ugualmente male: l’Akragas è stata prima portata via da Agrigento, con un’umiliante stagione giocata nella ospitale ma pur sempre lontana Siracusa, poi quindi cancellata.

I catenacci dell’Esseneto sono quasi arrugginiti: è ormai quasi un anno che le porte di quelle tribune e quelle gradinate teatro di tante emozioni sono chiuse, il tempio della città dei templi rimane lì solitario con quegli scalini dipinti di biancazzurro baciati dal sole ma non più riscaldati dai tifosi, sembra quasi supplicare il ritorno degli agrigentini tra i suoi spalti.

Questo ciclo è finito, le responsabilità saranno (come sempre) di tutti e di nessuno, ma adesso è tempo di ripartire. Quei lucchetti che umiliano l’Esseneto, anche per  campionati di terza categoria od anche per i tornei provinciali, è bene finalmente spezzarli. Sarà pur finito il lustro di soddisfazioni, ma non certo è terminata la storia dell’Akragas. E magari, in vista di tempi migliori, forse sarebbe bene già da adesso pensare a come dotare Agrigento di quelle infrastrutture capaci di far tornare un giorno la città in quei campionati che più gli si addicono.